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Affetto, il robot bambino che prova dolore

Affetto è un robot giapponese in grado di simulare dolore e sofferenza

Affetto, il robot bambino di Osaka

Si chiama Affetto ed è un robot di ultima generazione, sviluppato presso l’Università di Osaka. La sua caratteristica principale? Simulare in tutto e per tutto le emozioni umane, reagendo a diversi tipi di stimoli. Compresi quelli dolorosi.

La ricerca in campo di robotica è sempre più sofisticata. Le Intelligenze Artificiali stanno raggiungendo livelli di complessità mai visti prima. Al punto che le reti neurali sono state in grado di identificare la minaccia di ben undici asteroidi sconosciuti alla scienza; ne abbiamo parlato in questo articolo.

Lo sviluppo di robot evoluti, in grado di simulare sensazioni umane, si arricchisce di un altro tassello. Affetto è l’ultimo di una lunga serie di robot programmati per essere sempre più reattivi agli stimoli circostanti e “simili” agli uomini.

Il robot bambino di Osaka

Affetto “nasce” nel 2011 presso l’Università di Osaka, in Giappone.

Il robot bambino è stato realizzato dal professor Hisashi Ishihara e dal suo team; Binyi Wu e Minoru Asada.

Al momento del suo debutto, il viso riproduceva in maniera abbastanza grossolana i lineamenti di un bambino di 2 o tre anni.

La prima versione del piccolo robot
La prima versione del robot bambino

Questo “chassis facciale” era collegato a un esoscheletro equiparabile a un torso umano meccanizzato.

All’inizio, Affetto era in grado di reagire solo a un range limitato di stimoli esterni. I primi risultati, però, sono stati decisamente incoraggianti.

L’androide “bambino” era cioè in grado di interfacciarsi con il suo ambiente e interpretare correttamente gli stimoli tattili. Sia quelli gradevoli, come una carezza, che quelli dolorosi, come una scarica elettrica.

Ricreare le espressioni umane in un androide

Stabilito che Affetto era in grado di “sentire” il dolore, il problema era come rendere manifeste le sue sensazioni. Il volto sintetico della prima generazione di robot, infatti, aveva una mobilità estremamente limitata.

Imitare la miriade di micro-movimenti facciali di un essere umano non è certo facile. Il viso umano infatti ospita moltissime terminazioni nervose. Ma l’ingegneria robotica non si è mai lasciata scoraggiare dalla complessità della sfida.

Mimica umana negli androidi
Simulare le espressioni umane è una sfida della robotica

L’obiettivo era realizzare pelli sintetiche in tutto e per tutto simili alla pelle umana. E in grado, come quest’ultima, di muoversi sul volto degli androidi. Adattandosi alla loro mimica e simulando alla perfezione emozioni e sentimenti.

Nell’ultimo decennio, la ricerca in questo campo non si è mai fermata. I robot di ultima generazione riconoscono ed esprimono sempre più emozioni diverse.

Contemporaneamente, le Intelligenze Artificiali che li animano sono in grado di elaborare stimoli e situazioni. In maniera non molto dissimile a come faremmo noi umani.

Affetto piange e fa il broncio

L’ultima versione di Affetto, il robot bambino, è notevolmente migliorata rispetto ai prototipi precedenti.

Il viso ora è decisamente più simile a quello di un bambino in carne e ossa. Merito della pelle artificiale perfezionata. Che non è ancora in grado di replicare tutti i movimenti di un volto umano, beninteso. Però è senz’altro più realistica della versione precedente.

Affetto, quindi, è in grado di esprimere le sue sensazioni. Proprio come farebbe un bambino umano.

Affetto, il robot che prova dolore
Quando riceve una scossa elettrica, Affetto esprime dolore con smorfie e lamenti

Quando viene attivato, il robot assume un’espressione curiosa e interessata. Inoltre è molto reattivo agli stimoli circostanti. Per esempio, gira gli occhi verso le fonti sonore che lo circondano.

Nel momento in cui al robot viene trasmessa una scarica elettrica, Affetto fa una smorfia di dolore. Le sopracciglia si inarcano e la bocca si spalanca come per urlare.

Anche il movimento degli occhi è decisamente più fluido e naturale che in passato. Conferendo al robot bambino un’espressività che si può definire, a buon diritto, straziante.

Perché vogliamo consolare Affetto?

Vedendo le smorfie di dolore di Affetto, il primo impulso dello spettatore è quello di consolarlo.

Naturalmente il robot non è ancora del tutto identico a un bambino vero. Però è comunque abbastanza realistico da scatenare negli umani una forte risposta emotiva.

Ma perché proviamo tenerezza nei confronti di Affetto? Il motivo si chiama epimelesi. Ovvero una reazione istintiva di protezione nei confronti di un cucciolo.

L’impulso epimeletico che proviamo per Affetto è lo stesso che sentiremmo di fronte a un cagnolino o un gattino in difficoltà.

L’essere umano, infatti, è in grado di provare empatia  per soggetti di specie diverse. Non siamo gli unici, peraltro. Anche numerosi animali hanno in comune con noi questa caratteristica.

Perché proviamo empatia per un robot?
L’aspetto umano del robottino ci fa provare compassione per lui

Le Intelligenze Artificiali, invece, non sono attualmente in grado di proiettare le loro sensazioni al di fuori della sfera personale. Gli stimoli e le percezioni sono solamente quelle tattili ed emozionali che percepiscono in prima persona.

Da qui la nuova sfida che si pone la robotica; realizzare androidi capaci di feedback emotivi ma anche empatici. Una sfida particolarmente sentita in Giappone, dove l’età media è molto elevata e i robot  empatici potrebbero fornire supporto e compagnia a centinaia di anziani solitari.

Se vi siete commossi guardando il capolavoro di Kubrick “A.I – Intelligenza Artificiale”, il robot bambino Affetto non potrà lasciarvi indifferenti.

 

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