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Terremoto in Turchia: le fratture lungo la faglia

La placca anatolica si è spostata di tre metri

Terremoto in Turchia

Nessuno dimenticherà mai il terremoto in Turchia del 6 febbraio scorso. La scia sismica ha devastato due stati: Turchia e Siria, in uno dei terremoti più forti e distruttivi della storia. Nessuno di noi lo dimenticherà, nessuno dimenticherà le immagini, i giorni passati a scavare sotto le macerie, il numero delle vittime che continuava (e continua tutt’oggi) a salire.

Ma c’è ancora tanto che ci lascia senza fiato (in negativo) in tutta questa vicenda. Il terremoto non ha portato solo devastazione e morte, ma ha letteralmente cambiato la geografia del pianeta. Le fratture lungo la faglia non sono solamente qualcosa scritto nei database degli scienziati, ma qualcosa di visibile a occhio nudo. Sono apparse lungo i campi, le strade, i paesi, hanno letteralmente tagliato in due il paese allontanando la placca anatolica da quella araba.

Il terremoto in Turchia

È la mattina del 6 febbraio quando il mondo viene a sapere del terribile terremoto che ha devastato la Turchia e la Siria. Per giorni e per settimane si è continuato a scavare sotto le macerie e a oggi le vittime accertate hanno superato i 42.000.

Terremoto in Turchia
Terremoto in Turchia, le placche e le faglie interessate

Le due scosse più forti si sono verificate tra la notte e la mattina e sono state di 7,8 e 7,5 Mww. Alle due scosse principali ne sono seguite molte atre di accertamento. Una più forte delle ha causato nuove vittime.

Il terremoto è stato così forte che è stato registrato in tutto il mondo ed è stato l’evento più forte ad aver attivato il sistema di allertamento maremoto.

L’allarme maremoto ha interessato tutto il Mediterraneo. Se un terremoto di quella portata avesse davvero dato origine a un maremoto, quest’ultimo sarebbe arrivato a colpire anche le coste italiane. Delle anomalie sono state comunque osservate sulle coste della Turchia e di Cipro.

Le faglie in Turchia

Sappiamo che la Turchia è una zona altamente sismica. Sotto di essa corrono divere faglie tra le più grandi e importanti, le quali dividono il continente dell’Eurasia dal continente Africano e dal Medio Oriente.

Placca Anatolica
Placca Anatolica

La Turchia è attraversata da due placche principali, le quali non solo dividono i continenti, ma potrebbero staccare completamente la penisola turca dal resto della terraferma.

Sono la faglia Est Anatolica, lunga tra i 600 e i 700 chilometri, e la faglia Nord Anatolica, lunga 1500 chilometri. Inoltre la faglia Est Anatolica si incontra con la placca arabica e con la placca africana.

La placca arabica spinge la placca africana verso ovest, da sempre. Gli scienziati sapevano che si tratta di una zona che era destinata a rilasciare una grande potenza sismica. Il problema è che nessuno può prevedere quando ciò accadrà.

Terremoto in Turchia: la faglia Est Anatolica

Ad attivarsi nel corso del terremoto dello scorso 6 febbraio è stata proprio la faglia Est Anatolica, quella che tocca le due placche arabica e africana.

La faglia Est Anatolica è una delle più attive. Durante la scia sismica è avvenuta una compressione tra le due placche.

La faglia Est Anatolica divide quasi perfettamente la Turchia dalla Siria e corre dal Mediterraneo fin quasi al Mar Nero, dove si ricongiunge con la faglia Nord Anatolica.

Le spaccature della faglia

Le placche arabica e africana, che toccano la faglia si sono spostate di tre metri, con una deformazione che supera, secondo le prime stime, i 300 chilometri.

Faglia
La placca anatolica si è spostata di tre metri

Nel frattempo, la placca anatolica si è spostata di tre metri verso Ovest, verso il Mar Egeo, a causa di una spinta ricevuta dalla placca arabica. L’intero blocco anatolico si è spostato di tre metri e la spaccatura è evidente nel terreno.

Inoltre, gli esperti ritengono che il terremoto non abbia solamente spostato la placca, ma ha anche cambiato la geografia della costa. Come dicevamo, delle anomalie sono state rilevate lungo la costa di Turchia e Cipro. Tuttavia, dobbiamo attendere ulteriori accertamenti per capire l’entità dei cambiamenti geografici.

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