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Laboratorio di Antropologia del cibo

Abbiamo letto on line di questo nuovo Laboratorio di Antropologia del Cibo (Lac) e abbiamo subito pensato ad una cosa: l’evoluzione umana non passa più dalla fisica, dalla chimica e dalla biologia, ma piuttosto dalla sociologia e dall’antropologia. In questo articolo scopriamo come sia possibile.

Cos’è Lac?

Laboratorio (L) di Antropologia (a) del Cibo (c). Questa nuova realtà esiste ed è nata a Milano per raccontare storie di persone che vengono da tutto il mondo, tramite ricette del loro paese.

Ciò che mangiamo diventa il veicolo per la conoscenza delle persone e della loro cultura. Come? Grazie all’idea di Giulia Ubaldi Cossuta che ha riunito in un unico posto una trentina di cuochi, provenienti da 35 Paesi diversi.

laboratorio di antropologia del cibo
La cuoca del corso dedicato all’Egitto del Laboratorio di Antropologia del cibo. (Photo credit Carlo Manzo)

Tutti questi amanti della cucina hanno tutti un passato, una storia da condividere tramite i loro piatti che vengono dalla loro infanzia o ricordano loro qualche aneddoto della loro vita.

La testimonianza di Giulia

“Ho studiato a Siena. Sono laureata in antropologia, e mi sono col tempo appassionata alla cucina. Ho vissuto in Cilento e dopo anni di lavoro come antropologa del cibo e giornalista è nata l’idea di Lac: un posto dove le persone potessero condividere le proprie esperienze e culture tramite ricette che venivano da lontano, dalla propria memoria.”

Giulia è anche autrice di diversi libri, tutti dedicati alla cucina e a come il cibo sia veicolo di comunicazione tra culture.

La sua idea è che le ricette sono il mezzo – e non il fine – per scavare nelle abitudini e nelle consuetudini di una persona e della sua cultura.

Una sorta di evoluzione che porta l’essere umano a conoscersi sempre di più e meglio, attraverso il gusto. Insomma, Lac – Laboratorio di Antropologia del Cibo, non è la classica scuola di cucina, ma bensì un progetto tutto nuovo che parla di umanità.

Laboratorio di antropologia del cibo ed evoluzione

Siamo tutti abituati ad associare alla parola “evoluzione” quel processo in cui l’uomo è diventato un essere vivente pensante, distinguendosi così dall’animale.
L’idea di un laboratorio di antropologia in cui il motore della conquista di nuove competenze tramite il cibo è un nuovo modo di vedere l’evoluzione umana. 
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Un’immagine durante uno scambio al Laboratorio di Antropologia del Cibo di Giulia Ubaldi. (Photo credit Emanuela Colombo)
Finalmente ci rimettiamo in discussione come esseri umani e invece di pensare solo al nostro orticello, o di voler imparare le ricette di altri paesi dai libri di cucina o dagli chef stellati, possiamo ascoltare, osservare e trovare un nostro personale punto d’incontro con culture diverse dalla nostra. Tutto questo grazie alla cucina.
Questa è l’idea di questo spazio aperto in via Metauro 4 a Milano, nel cuore del quartiere Giambellino. Un posto multietnico, un laboratorio storico in cui dallo scorso 20 settembre 35 cuochi non professionisti, provenienti ognuno da un paese diverso, condivideranno gusti di vita e storie del proprio mondo con un piccolo numero di partecipanti ai corsi organizzati da Giulia.

Parola chiave: Raccontare

La cosa ancora più interessante di tutto questo è che lo scambio culturale del Laboratorio di Antropologia del Cibo avviene tramite persone che raccontano il proprio paese tramite il loro amore per la cucina.
Ognuno insegna le ricette del proprio paese per come le ricorda, per come gli sono state insegnate. Ed ecco che durante la lezione, due persone della stessa nazionalità, ma nate e cresciute in ambienti diversi, conoscono la base del cibo o della ricetta presa in esame, ma la realizzano ognuno a modo proprio.
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I cuochi del Laboratorio di antropologia del cibo. (Photo credit Stefano Triulzi)
L’evoluzione sta in una qualità che noi umani abbiamo da sempre, ma che usiamo sempre troppo poco: l’ascolto. Con il progetto di Giulia, chi partecipa ha la possibilità di ascoltare ed imparare cose nuove da culture differenti dalla propria.
S’impara ad essere empatici, a mettersi nei panni dell’altro, a scoprire gusti e sapori nuovi che potrebbero diventare i nostri preferiti, o darci lo spunto per crearne di nuovi.
Perché in fondo forse, dopo tanto tempo, grazie alla commistione di persone e sapori inizia a non esistere più un insieme di culture, ma bensì una unica, fatta di persone che sì parlano lingue diverse, ma che sono capaci di comunicare tra di loro attraverso un mezzo forte e potente come il cibo.