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Dainese: la tuta spaziale made in Italy

Dainese

L’Italia punta alle stelle. Mentre sulla stazione spaziale internazionale si sta svolgendo la prima missione che ha per comandante un italiano, il nostro astronauta Luca Parmitano, a Terra, si ha come prossimo obiettivo Marte 2030. A tal proposito l’azienda Dainese, di Vicenza, sta collaborando con l’ESA e la NASA per la realizzazione delle prossime tute spaziali. Ma questa non è nemmeno la prima volta che le tute spaziali italiane volano tra le stelle.

Da Dainese allo spazio

Abbiamo sviluppato negli anni una capacità di comprendere e conoscere il corpo umano che è di valore assoluto, ed è questo il segreto che ci porta a essere così competitivi.

È per questa competenza che ci viene riconosciuta da tutti che l’MIT di Boston ha deciso di venire da noi per lavorare sul progetto della Nasa per sviluppare una tuta che protegga gli astronauti nella missione verso Marte”, racconta Cristiano Silei, amministratore delegato di Dainese.

Tute spaziali
Le tute spaziali italiane

La collaborazione americana con l’MIT e la NASA ha come obiettivo le prossime missioni verso Marte, con equipaggio umano. Ma questa non è l’unica collaborazione che punta allo spazio. Nel frattempo, infatti, la società sta portando avanti una seconda importante collaborazione, quella con l’agenzia spaziale europea, per la realizzazione di una tuta che si possa sfruttare a bordo della ISS e che limiti gli effetti dell’assenza di gravità.

Dainese trae ispirazione dalla natura

Noi diciamo Inspired by Human. Lavoriamo nel solco della tradizione umanistica italiana, un solco ben narrato in questi mesi di memoria per i 500 anni di Leonardo. Così faceva il genio, anche noi per trovare le soluzioni adatte ai nostri progetti ci ispiriamo alla natura.

Quando negli anni ’80 abbiamo sviluppato il primo paraschiena per motociclisti, abbiamo studiato tre animali: l’aragosta, l’armadillo e il pangolino”, continua a raccontare Cristiano Silei.

Nell’azienda Dainese si studia il corpo umano portato alle situazioni più estreme, dai 300 chilometri orari della moto GP (l’azienda è infatti famosa sulla Terra per le tute dei motociclisti) allo spazio. Si studiano tutti gli effetti che queste condizioni hanno sul corpo umano e si lavora insieme cercando di trovare un modo per limitare al minimo gli effetti di esse. E la maggior parte delle risposte si trovano proprio nella natura che ci circonda.

Al fine di trovare le soluzioni ottimali per le due collaborazioni spaziali, Dainese ha ideato due tute spaziali: la skinsuit e la biosuit.

Skinsuit

La tuta spaziale Skinsuit è stata studiata appositamente per essere indossata a bordo della stazione spaziale internazionale. Essa esercita sul corpo degli astronauti il peso imposto normalmente sulla Terra, anche in assenza o in carenza di gravità.

Skinsuit
Skinsuit

Tra i primi problemi che gli astronauti si trovano ad affrontare una volta arrivati a bordo della stazione orbitante vi è il dolore lombare, provocato dall’allungamento della spina dorsale. Skinsuit contrasta tale allungamento.

Inoltre, la compressione verticale riduce il rischio di contrarre un’ernia al disco, anch’esso un rischio a cui spesso incorrono gli astronauti.

Skinsuit è andata per la prima volta nello spazio nel 2015, quando l’astronauta Andreas Mogensen l’ha testata per 10 giorni. Affinché la tuta fosse perfettamente efficiente sono state prese oltre 150 misure del corpo di Andreas.

L’anno seguente un secondo astronauta ha testato la skinsuit, si tratta di Thomas Pasquet.

Biosuit

La seconda tuta spaziale made in Italy è Biosuit, la candidata ad andare su Marte, ed è nata dall’esigenza di creare tute più leggere e pratiche.

Biosuit
Biosuit

Biosuit prende spunto dagli studi di Arthur Iberall, il quale ha scoperto che nel corpo umano vi sono dei punti che non si contraggono e non si allungano, nonostante i movimenti. Riuscendo a collegare tra di loro questi punti, la pressione nel corpo rimane costante, eseguendo lo stesso lavoro delle attuali grandi e ingombranti tute spaziali.

L’interno della tuta deve essere pressurizzato, affinché l’uomo possa resistere allo spazio. Sostituendo la pressione pneumatica con quella meccanica, si può ottenere una tuta molto più pratica e leggera, che non costringe gli astronauti a sforzi immani anche per compiere un solo passo.

Il progetto è comunque ancora in fase di sviluppo, per poter essere ben presto fruibile nella missione Mars 2030.

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