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Byte e Parole: tech che ridefinisce la comunicazione

Mi siete mai chiesti se stiamo davvero ancora parlando tra essere umani o se semplicemente ci stiamo scambiando dei dati travestiti da parole? Oggi vi proponiamo una riflessione: ogni messaggio o mail che viene inviato è fatto di byte e parole. Dentro questi byte ci sono emozioni, intenzioni e malintesi. Ed ecco la curiosità che ci ha spinto a scrivere questo articolo: cosa succede quando questi byte si trasformano e diventano parte integrante della comunicazione tra esseri umani? Vediamolo insieme.

Byte e Parole: partiamo dalle basi

Ma cosa sono i byte? Partiamo dalle basi per vedere poi come si arriva al messaggio. Il byte è un contenitore piccolissimo di informazioni digitali, formato da 8 bit. Se siete sul nostro sito sicuramente ne masticate di informatica, ma nel dubbio ve lo descriviamo con un’immagine. Pensate che ogni lettera che scriviamo, ogni emoji o immagine che condividiamo viene spezzettata e trasformata in byte.

Un linguaggio meccanico, che per noi esseri umani è difficile da decifrare, ricco però di grande significato. Se le parole sono ciò che ci permette di raccontare la nostra storia, di emozionarci e comprenderci, tra byte e parole c’è un punto invisibile costruito dalla tecnologia.

byte e parole
Ogni parola oggi diventa un byte ecco come

Facciamo un esempio: se scrivo “Ti penso” su WhatsApp, quella frase verrà trasformata in una stringa di byte. I dati vengono poi trasmessi server e decodificati per poi essere costruiti sullo schermo del destinatario. Se però chi legge il messaggio è un assistente virtuale, il processo diventa più complesso. Si entra in gioco l’intelligenza artificiale, questa deve capire il tono, l’intento e il contesto. Deve fare un’interpretazione perché tradurre i byte in parole non è più solo una questione di codifica ma una sfida sul significato.

Il concept nell’era delle AI

Spostiamo ora la nostra riflessione di oggi su byte e parole nell’era delle AI. Strumenti come ChatGPT, Google Assistant o Alexa non si limitano a convertire i dati ma costruiscono risposte, elaborando il linguaggio, imitando conversazioni.

Queste piattaforme funzionano perché sono state addestrate su miliardi di parole trasformate a loro volta in sequenze digitali cioè byte. Quindi anche qui il processo è il medesimo: ogni richiesta viene trasformata in byte. La differenza sta nel fatto che non viene semplicemente portato al server ma viene analizzata da algoritmi linguistici e poi restituita sottoforma di valori plausibili. Un ciclo che si sviluppa in millisecondi e che il cuore della nuova comunicazione uomo-macchina.

Possiamo quindi dire che oggi byte e parole sono legate dallo stesso flusso comunicativo. Ma come cambia la comunicazione quotidiana in questo contesto? Quello che è una volta era un dialogo diretto passa per canali digitali, anche quando parliamo tra esseri umani. Tutto si svolge attraverso uno schermo. Schermo con il quale ognuno di noi parla per tradurre in tempo reale o gestire richieste in ambito medico, legale e bancario.

byte e parole
Perché dobbiamo conoscere il processo di comunicazione dei nostri messaggi nell’etere? Ecco il motivo

L’obiettivo è risparmiare tempo, con la conseguenza però che le parole non nascono più da un gesto spontaneo ma da una traduzione digitale che ridefinisce non soltanto i tempi ma anche la modalità e il tono delle conversazioni.

Le sfide dietro la comodità tra byte e parole

Come abbiamo visto la velocità con cui comunichiamo ci fa oggi perdere profondità. C’è il rischio che le sfumature emotive svaniscono, magari tradotte male da un’intelligenza artificiale a cui abbiamo chiesto aiuto o addirittura completamente tagliate via dal messaggio.

La comunicazione automatizzata, quella fatta di byte e parole, è impersonale, meccanica e vuota. Quindi la vera sfida è mantenere quanto più possibile umane le parole, anche quando passano dal filtro digitale nella speranza che la tecnologia non appiattisca il linguaggio ma ci aiuta ad arricchirlo.

Capire questo processo di trasformazione può aiutarci ad utilizzare meglio la tecnologia e a proteggerci da un linguaggio sempre più veloce e sintetico che però è vuoto. Obiettivo: scrivere testi che diano senso ai byte che li trasportano da uno schermo all’altro.